Le aquile (Aquila Brisson, 1760) sono un genere di uccelli rapaci della famiglia Accipitridae.[1]
Tutte le aquile sono caratterizzate da particolare robustezza e prestanza fisica: becco potente e uncinato, testa grande, ali ampie, corpi generalmente ricoperti di piume fino alle zampe che presentano artigli robusti, ricurvi e affilati. Hanno un volo potente, spesso veleggiato e maestoso; piombano dall'alto rapidissime sulle prede per poi afferrarle a volo radente.
Come tutti i rapaci, le aquile, dopo aver immobilizzato la vittima, iniziano a divorarla ancora viva e, spesso, la inghiottono intera per poi rigettarne ossa, penne e piume che non riescono a digerire.
In Italia possiamo trovare molte specie di aquile e una delle aquile più piccole è l'aquila minore. L'aquila minore è oggi denominata aquila pennata ed è il rapace più piccolo del genere aquila. L'aquila minore è lunga 42–53 cm ha un'apertura alare di 113–134 cm ed il peso è dai 555 ai 965 grammi. Le femmine sono più grandi dei maschi, e in base alla regione di appartenenza sono presenti con due morfismi di colorazione differente (chiaro e scuro).
Il maschio di Aquila minore è più piccolo della femmina e in base alla lunghezza dell'ala e della coda è possibile verificarne il sesso, infatti il maschio ha ali e coda più corte di quelle della femmina, rispettivamente di 370 e 195 mm. L'aquila minore impiega un ciclo di quattro anni per diventare adulta:
L'aquila minore predilige un habitat con zone boschive non troppo fitte, aree pianeggianti ed alpeggi collinari e montani. Si riproduce in Europa meridionale (Spagna, Portogallo), Nord Africa e in tutta l'Asia.
Il cibo di questi rapaci è vario, ma sempre di origine animale. L'aquila reale preda marmotte, lepri, fagianidi, corvidi, tartarughe, piccioni, conigli, giovani cerbiatti. L'Aquila codacuneata, preda anche grossi pitoni, koala, opossum, canguri, wallaby, uccelli del paradiso e piccoli marsupiali. L'aquila minore si nutre principalmente di uccelli, in particolare stormi di piccioni, ecc.
Il genere Aquila comprende le seguenti specie:[1]
L'aquila, grazie alle sue caratteristiche di grosso rapace, dalla vista acutissima, dal volo maestoso, dalla capacità di volare ad altezze irraggiungibili e piombare con velocità impressionante sulle prede, ha destato in tutti i popoli antichi il mito dell'invincibilità, paragonato ora al Sole, ora al messaggero degli dei o allo stesso Dio. Se l'Elefante è considerato il re degli animali e il leone il re della foresta, l'aquila è la regina dei volatili. Nell'antica arte sumerica si trovano reperti archeologici, che mostrano un animale con corpo di aquila e testa di leone: emblema di sovranità sulla terra e sull'aria.[2]
Simbolo celeste e solare, l'aquila indica pure acutezza mentale e d'ingegno, tanto che ancora oggi, parlando di una persona di intelligenza mediocre, se non scarsa, si ricorre alla litote: «Quella persona non è certo un'aquila». A "canonizzare" questa metafora fu Dante Alighieri, quando nella sua Divina Commedia parla di Omero, che ai tempi del sommo poeta era considerato una delle più grandi menti mai esistite:
«Quel signor dell'altissimo canto, / che sovra gli altri com'aquila vola»
D'altra parte anche l'antico proverbio latino
Aquila non capit muscas (L'aquila non cattura mosche)
che sta a indicare come i grandi non si curino delle piccole cose, attribuisce automaticamente all'aquila il simbolo di grandezza.
Altra caratteristica dell'aquila, secondo antiche credenze, è quella di poter fissare con lo sguardo il sole senza che i suoi occhi ne patiscano. Conferma questa credenza anche Dante Alighieri, affermando nel I canto del Paradiso (vv. 46-48):
« [...] / quando Beatrice, in sul sinistro fianco / vidi rivolta e riguardar nel sole:/ aquila sì non li s'affisse unquanco.»
Nello sciamanesimo asiatico, l'aquila era il simbolo di un dio. In particolare, presso il popolo degli Jakuti Siberiani, il suo nome coincide con quello del Dio Creatore. Pertanto, gli sciamani, intermediari tra il popolo e la divinità, erano detti "figli dell'aquila". Infine, secondo tale credenza, è l'aquila colei che trasporta l'anima dello sciamano, durante la sua fase di iniziazione.[3]
Nella mitologia dei pellerossa l'aquila è la rappresentazione tangibile di Wakan Tanka, il Grande Uccello del Tuono, che elargisce i raggi solari ed è la manifestazione del Grande Spirito, la divinità suprema. Il diadema che ornava la testa dei grandi capi indiani era fatto di penne di aquila, simbolo solare, e penne di aquila, artigli e addirittura teste di questo regale uccello costituivano un corredo di amuleti indispensabile a ogni guerriero.[4] Nella "Danza del Sole" i partecipanti indossavano piume di aquila e un fischietto di osso dello stesso uccello.[5]
Nella mitologia azteca il dio-sole Tonatiuh era rappresentato da un'aquila, confermando anche qui la valenza solare che il mito assegna a questo uccello.
Lei è nemica mortale del serpente, che attacca e uccide. Così viene mostrata su antiche monete greche e galliche, mentre in Siria la leggenda vuole che Etana, pastore divenuto re, abbia salvato l'aquila dalle spire del serpente a cui l'uccello aveva divorato i figli. L'aquila, per ricompensarlo, lo avrebbe portato sulle sue ali fino in cielo.[2]
Secondo la mitologia greca, Zeus si trasformò in aquila per rapire Ganimede.[6] L'aquila fu anche considerata uccello aruspice, messaggero che portava i presagi dagli dei agli uomini. Nell'Iliade, Priamo, prima di recarsi presso il nemico Achille per ottenere il corpo del figlio Ettore, offrì a Zeus una libagione, affinché inviasse l'uccello «ad egli caro tra tutti e che ha la forza suprema.» Zeus ne ascoltò la preghiera e subito lanciò l'aquila, «il più sicuro degli uccelli, il cacciatore fosco che è chiamato il nero.»[7]
Sempre nella mitologia greca, Eugammone di Cirene ci narra che un'aquila, l'aquila dei venti, venne inviata in aiuto a Chirone dopo che questi ebbe curato Achille e si smarrì mentre era sulla via del ritorno verso casa. Inoltre, proprio un'aquila fu inviata da Zeus sull'alta rupe, ov'era incatenato Prometeo, per dilaniargli il fegato.
L'aquila era, secondo la mitologia greco-romana, la portatrice dei fulmini di Giove e veniva anche raffigurata con i fulmini tra gli artigli.[8] E così, leggermente modificata, compare nell'emblema degli Stati Uniti d'America.[9] Portatrice di fulmini ma anche protettrice da questi: secondo Plinio il Vecchio i greci antichi a questo fine inchiodavano aquile sulle porte delle loro case.[10]
L'aquila nella mitologia romana
Essendo icona di Giove, padre di tutti gli dei e protettore dello Stato, l'aquila fungeva anche da simbolo del potere di Roma e del suo impero,[11][12][13] ed era utilizzata come insegna da parte delle legioni dell'esercito.
Secondo la mitologia norrena, l'aquila è l'eccelso tra gli uccelli, poiché sa volare molto in alto e può fissare il sole: è dunque emblema della percezione diretta della luce divina e della suprema sublimazione.
È inoltre un animale rapace, nemico dei serpenti, che strisciano sul terreno, e questo ne accentua la simbologia di antagonista della materialità. Secondo il Vafþrúðnismál il vento è prodotto da Hræsvelgr, il quale, sotto forma di aquila, siede alla fine del cielo e agita le sue ali. Tale citazione è ripresa anche da Snorri Sturluson nella sua Edda in prosa, nel Gylfaginning XVIII. È stato ipotizzato che l'aquila possa essere la stessa su cui il falco Veðrfölnir è seduto tra gli occhi – immagine che simboleggia una straordinaria percezione visiva – appollaiata sui rami dell'albero cosmico Yggdrasill, scambia continuamente cattive parole con il serpente Níðhöggr, che con altri ne rode le radici. La connessione dell'aquila con l'albero cosmico appare confermata non solo da un verso che recita «sui rami dei frassini si posano le aquile», bensì anche là dove si parla di un'aquila che si trova sopra il Valhalla, dimora delle anime dei guerrieri caduti con onore, nello stesso luogo in cui cresce l'albero Læraðr, da identificare con l'albero cosmico.
L'aquila è dunque un uccello sacro, iniziatico e dotato di grande sapienza, e sul suo becco sono incise le rune. È estremamente sapiente perché è l'uccello delle origini, il primo che vola sul mondo ogni volta che un nuovo ciclo ha inizio. Dall'alto dello spazio e del tempo ha chiara percezione del mondo.
L'aquila è inoltre uccello di Odino: sotto forma di aquila questo compie il furto dell'idromele, che rende poeta chi lo beve; a tale mito alludono verosimilmente i suoi appellativi Arnhöfði, «testa di aquila», e Örn, «aquila».
Come un sacrificio al dio deve essere presumibilmente intesa anche la pratica crudele di mettere a morte i nemici incidendo la cosiddetta «aquila di sangue» (rista blóðörn): questo consisteva nello staccare le costole dalla spina dorsale, aprirle come ali di aquila ed estrarre i polmoni della vittima.
Alla definizione dell'aquila quale uccello di Odino non è estranea la qualità rapace dell'uccello, che si nutre di cadaveri: la metafora «rallegrare le aquile», «dare cibo all'aquila» vale «uccidere molti nemici».
La trasformazione magica in aquila non è tuttavia prerogativa esclusiva del dio: così, infatti, è detto dello jarl Fránmarr che vuole proteggere due donne dall'assalto di un esercito; così soprattutto è detto di alcuni giganti quali Þjazi, il rapitore di Iðunn, Suttungr, derubato da Odino del sacro idromele, o Hræsvelgr, che con il battito delle sue ali possenti genera il vento sulla terra.[14]
Nell'antico testamento il Libro di Ezechiele inizia con la descrizione di una visione del profeta-autore:
«Al centro apparve la figura di quattro esseri animati che avevano sembianze umane e avevano ciascuno quattro facce e quattro ali. […] Quanto alle loro fattezze, ognuno dei quattro aveva fattezze d'uomo; poi fattezze di leone a destra, fattezze di toro a sinistra e, ognuno dei quattro, fattezze di aquila.»
Si tratta del Tetramorfo, figura ripresa da San Giovanni evangelista nell'Apocalisse:
«Il primo vivente era simile a un leone, il secondo essere vivente aveva l'aspetto di un vitello, il terzo vivente aveva l'aspetto di un uomo, il quarto vivente era simile a un'aquila mentre vola.»
La sua funzione di psicopompa si è evoluta, dalla leggenda siriana di Etana, nota sicuramente alle prime comunità cristiane, in immagine di Cristo salvatore, che porta le anime in cielo. Così già il Deuteronomio, nel Cantico di Mosé, assimila la figura di Dio all'aquila:
«Come un'aquila incita la sua nidiata e aleggia sopra i suoi piccoli, così Egli spiega le ali, lo prende e lo porta sulle sue penne.»[15]
ove quell'Egli è il Signore.
Scrive Filippo di Thaon, monaco e poeta normanno del XII secolo:
«L'aquila significa / il figlio di Santa Maria, / che è un re di tutti gli uomini / senza alcun dubbio, / sta in alto e vede lontano, / sa bene cosa deve fare»
seguendo quanto ancor più esplicitamente aveva detto Sant'Ambrogio in proposito, nel suo commento ad un passo dei Proverbi:[17]
«L'aquila si comprende come quella del Cristo che, con il suo volo, è sceso in terra. Questo genere di animale non riceve cibo prima che la castità di sua madre sia dimostrata quando con gli occhi aperti, senza battere le ciglia, può contemplare il sole. È dunque a giusto titolo che questo animale è paragonato al Salvatore perché, quando vuole catturare qualche essere, non calpesta il suolo, ma elegge un luogo elevato: così il Cristo, sospeso all'alta croce, in un fracasso terribile e in un volo tonante prende d'assalto gli inferi e porta via verso i cieli i santi che ha afferrato.»[18]
L'aquila aveva anche fama di rigenerarsi. Secondo una leggenda, all'aquila anziana si annebbiava la vista e si appesantivano le ali. Lei allora volava in cielo e bruciava le sue ali e il velo che le copriva gli occhi al calore del sole, dopodiché scendeva in terra e immersasi tre volte in una fonte tornava a essere giovane e vigorosa.[19] Questa leggenda fu ripresa nella iconografia cristiana grazie ai versi del Libro dei Salmi:
«Egli [il Signore] perdona tutte le tue colpe, / guarisce tutte le tue malattie; / salva dalla fossa la tua vita, / ti corona di grazia e di misericordia, / egli sazia di beni i tuoi giorni / e tu ti rinnovi come aquila la tua giovinezza.»[20]
e Sant'Ambrogio fa sua questa interpretazione nei suoi Sermoni:
«A dire il vero si tratta di una sola, autentica aquila, Gesù Cristo, nostro Signore, la cui gioventù è stata rinnovata quando è risuscitato dai morti. Infatti, dopo aver deposto le spoglie di un corpo corruttibile, è rifiorito rivestendo una corona gloriosa.»[21]
L'aquila è stata attribuita come simbolo a San Giovanni Evangelista in quanto con la sua visione descritta nel Libro dell'Apocalisse avrebbe contemplato la Vera Luce del Verbo, come descritto nel Prologo del suo Vangelo, così come l'aquila può fissare direttamente la luce solare.[22] Questa attribuzione è attestata ai tempi di Sant'Agostino (IV - V secolo).[23] San Giovanni Evangelista viene paragonato all'aquila da Dante Alighieri, quando nella cantica del Paradiso immagina di parlare proprio con l'Evangelista:
«Non fu latente la santa intenzione / dell'aguglia [aquila, n.d.r.] di Cristo, anzi m'accorsi / dove volea menar mia professione.»
L'aquila viene anche considerata come simbolo del cristiano, chiamato dal battesimo a nuova vita e la frase del Vangelo secondo Luca: «laddove sarà il corpo, le aquile si raduneranno»[24] fu interpretata da commentatori medievali che paragonarono il corpo al Cristo e le aquile che si radunano intorno a questo, alle anime cristiane.[25]
L'aquila, a causa della sua voracità e della rapidità con la quale si avventa sulla preda, ebbe anche connotazioni simboliche negative. La credenza che si cibi di pesci raggiunti e ghermiti mentre nuotano tranquilli, ne ha determinato un'interpretazione negativa, soprattutto riguardo al fatto che il pesce era considerato dai primi cristiani un simbolo di Cristo. Sotto questo aspetto fu vista anche come simbolo di Satana, che attacca e ghermisce le anime, sottraendole alla loro normale destinazione cristiana.[26] A questa interpretazione simbolica negativa ha contribuito certamente anche la classificazione dell'aquila come animale impuro, quindi non edibile, che viene data nel Deuteronomio.[27]
L'aquila quaternione (in tedesco: Quaternionenadler) è la raffigurazione allegorica di un'aquila bicipite, sulle cui piume alari sono illustrati a gruppi di quattro gli scudi dei membri (stati imperiali) del Sacro Romano Impero. Con questa ricchezza di attribuzioni simboliche, l'aquila non poteva mancare negli emblemi e stemmi di qualsiasi genere: rappresentativi di eserciti, città, nazioni, casate nobiliari o di società sportive.
Fu adottata nei labari delle legioni romane, a cominciare dal consolato di Mario:[28] e proprio sulla scia della gloria dell'Impero romano, un amplissimo novero di Stati e società l'ha usato per richiamarsi a questo, o a entità che si richiamavano a Roma.
(L'elenco esemplificativo che segue non è esaustivo.)
Anche molti stati degli Stati Uniti d'America riportano nel loro stemma o nella loro bandiera l'immagine di un'aquila:
«Over the entrance hovers an enormous specimen of the American eagle, with outspread wings, a shield before her breast, and, if I recollect aright, a bunch of intermingled thunderbolts and barbed arrows in each claw.»
«Sopra l'ingresso è appeso un enorme modello dell'aquila statunitense, con le ali spiegate, uno scudo di fronte al petto e, se ricordo bene, un fascio di fulmini mischiati a frecce con barbigli per ciascun artiglio.»
«Tre cose mi sono difficili, / anzi quattro, che io non comprendo: / il sentiero dell'aquila nell'aria, / il sentiero del serpente sulla roccia, / il sentiero della nave in alto mare, / il sentiero dell'uomo in una giovane.»
per Leggende, miti e simboli:
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